Diverse banche italiane hanno deciso di evitare di pagare la tassa sugli “extraprofitti” introdotta ad agosto per tassare i guadagni aggiuntivi ottenuti grazie all’aumento dei tassi di interesse su mutui e prestiti. Queste banche useranno invece l’opzione prevista dalla legge che consente loro di accantonare due volte e mezzo rispetto alla somma che avrebbero dovuto versare allo Stato, così da aumentare le proprie riserve e rendere i loro bilanci più solidi.
Tale scelta è stata possibile grazie al decreto-legge di conversione parlamentare, che ha modificato la misura originale della tassa sugli “extraprofitti”. Inizialmente, questa misura aveva l’obiettivo di aiutare coloro che si trovano in difficoltà nel pagamento delle rate del mutuo e di ridurre le tasse. Tuttavia, è stata criticata perché considerata troppo gravosa per le banche, che avrebbero potuto compensare il costo aumentando le commissioni sui servizi.
Secondo il decreto-legge convertito, le banche potranno utilizzare le somme accantonate solo per coprire eventuali perdite e non per altri scopi. In caso contrario, dovranno pagare una penale. In totale, le banche quotate in borsa avrebbero dovuto versare complessivamente 1,8 miliardi di euro allo Stato, mentre gli altri istituti dovrebbero pagare circa 300 milioni di euro. La tassa sugli “extraprofitti” ha raccolto un totale di poco più di 2 miliardi di euro.
Diverse banche quotate in borsa, tra cui Intesa Sanpaolo, Unicredit, BPER, Banco BPM e MPS, hanno dichiarato di preferire rafforzare le riserve anziché pagare la tassa. Queste banche hanno registrato alti profitti, che hanno consentito generose distribuzioni dei dividendi agli azionisti e accantonamenti superiori a quelli richiesti dalla legge.
Va sottolineato che la tassa sugli “extraprofitti” delle banche aveva anche un valore politico, essendo stata considerata una misura di equità sociale e un aiuto per le persone che si trovano in difficoltà a causa dell’aumento delle rate del mutuo.
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